Siamo stufi dell’Instant marketing (fatto male)

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Siamo stufi dell’Instant marketing (fatto male)

Credo fosse il 2013, l’anno in cui ci accorgemmo della simpatia di Ceres sui social. Fu possibile grazie al Real time marketing, una strategia che prevede la condivisione di post in risposta a notizie o eventi che si svolgono in tempo reale.

Il Real time marketing può essere pianificato, programmando in anticipo la creazione del messaggio per l’occasione (ad esempio: Sanremo, San Valentino, Festa della donna, finale dei Mondiali…) oppure spontaneo, cioè prendendo spunto da fatti di attualità che accadono in contemporanea. Quest’ultimo richiede uno sforzo di creatività non indifferente ed è per questo che Ceres si è posizionato tra gli esempi di Instant marketing vincente.

È stato fra i primi in Italia a realizzare campagne innovative e divertenti, fortemente in linea con la personalità del brand, facendo diventare virali messaggi ironici e dissacranti, cavalcando l’onda del «ne parlano tutti».

Questa strategia di marketing ne ha rafforzato la reputazione.

 

 

 

 

 

 

Ciò non toglie che, al reparto alcolici del supermercato, il consumatore medio non sceglierà di acquistare la birra Ceres solo perché li trova coraggiosi e geniali sui social.

L’Instant marketing – se ben fatto – serve principalmente a questo: amplificare la notorietà del brand sul web, coinvolgere il proprio pubblico e creare un legame a partire da un contenuto di qualità, il cui messaggio è entusiasmante ed esilarante.

Oltre a brand internazionali come OreoCoca Cola, NutellaDurex, che non hanno certo bisogno di usare i social per vendere di più; altri meno noti hanno sposato questa strategia di marketing per ottenere visibilità, senza avere però la stessa capacità di prendere in giro la realtà e divertire il proprio pubblico.

Quando la comunicazione non è coerente con il brand o con il prodotto, ne vengono fuori post forzati e inopportuni.

Un esempio? Taffo, agenzia di onoranze funebri osannata dagli addetti ai lavori e diventata celebre sui social perché cavalca l’attualità con messaggi provocatori, basati sul black humor.

Taffo sceglie l’Instant marketing per farsi sentire anche durante la Giornata internazionale contro la violenza sulle donne e pubblica un post su un tema molto delicato, sfiorando il cattivo gusto.

Se l’intenzione era quella di denunciare i fatti, il risultato è stato superficiale e fuorviante. Il messaggio sembra colpevolizzare ancora una volta le donne, vittime di tante denunce cadute nel dimenticatoio e sfociate nel più drammatico degli epiloghi.

Ironia inappropriata e di cui non si sentiva il bisogno.

L’Instant marketing ai tempi del coronavirus

 

La prima regola da seguire per riuscire nell’impresa di risultare ironici e leggeri sui social è quella di non scegliere temi seri e lontani dal nostro campo d’azione.

Non abbiamo bisogno che l’azienda X dica la sua, sempre e comunque, specialmente quando stiamo attraversando un’emergenza sociale che ha un forte impatto emotivo sulla nostra quotidianità.

La partecipazione delle aziende al dibattito pubblico, attraverso i social, non è indispensabile. Quando non si ha niente da dire, meglio non dire niente.

Purché se ne parli  infatti è una strategia noiosa e stantìa che non premia più; gli utenti sono sempre più esigenti e un eccessivo protagonismo (il cui fine è quello di rimarcare il proprio prodotto/servizio, risultando così una pessima televendita), rende la comunicazione disturbante e fastidiosa.

Neppure oggi che stiamo attraversando un momento di grande confusione, le aziende (o meglio, i social media manager) resistono al potere seduttivo di fare Instant marketing su Facebook e Instagram.

Vi svelo un segreto: non ce ne frega niente di sapere che voi ci siete.