1992 La serie, quando il marketing crea false aspettative

1992 La serie, quando il marketing crea false aspettative

Un po’ c’era da aspettarselo. La campagna di promozione messa in atto per spingere 1992 La serie, la nuova produzione di Sky Atlantic è stata così brillante e perfetta, da alzare inevitabilmente le aspettative. Per poco più di venti giorni, il canale +1 di Sky Atlantic ha modificato la programmazione, trasmettendo serie tv, film, sport e perfino spot pubblicitari di quegli anni, dando vita ad una vera e propria 1992 mania, che ha sedotto pure me, costringendomi a registrare gli episodi di Beverly Hills 90210, ormai sparita da qualsiasi palinsesto di repliche estive.

A Milano e a Roma, è stata organizzata anche un’operazione di guerrilla marketing, dove un gruppo di ragazzi, acconciati come fossero gli Yuppies di Vanzina, sono andati in giro per le vie del centro, distribuendo a passanti e turisti finte banconote da 100 mila lire, con sopra stampata la scritta 1992.

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Ad incrementare la curiosità sono stati anche i promo ben curati e con la musica giusta (firmata da Davide “Boosta” Dileo, tastierista dei Subsonica), le interviste a Miriam Leone, una quasi-esordiente promettente e a Tea Falco, un’ispiegabile attrice pluripremiata. E poi c’è la storia, quella di Tangentopoli, credo finora mai raccontata prima da cinema e tv (ma posso sbagliarmi).

Tuttavia è proprio la scelta di narrare una vicenda politica e giudiziaria, tanto grave e importante come quella di Mani pulite, in chiave romanzata, mescolando cronaca e fiction, che ha generato in me la delusione per un prodotto che poteva esser pensato e scritto meglio.

1992

Sono andati in onda solo i primi due episodi, è troppo presto per giudicare, direte voi.

Eppure, mi è bastato poco per pensare che chiunque non abbia una minima idea di cosa sia successo in quegli anni, difficilmente lo capirà grazie a Tea Falco e al suo biascicare. I personaggi stereotipati e i dialoghi banali, il nudo e il sesso di alcune scene non bastano a rendere l’idea della pochezza di quel periodo. La figura di Antonio Di Pietro è così marginale che ci ho messo un po’ prima di accorgermi della sua presenza, nonostante compaia nel secondo frame.

Restano una buona colonna sonora, Non è la Rai e i programmi tv di quel periodo, lo spot sull’Aids con l’alone viola, le pellicce delle sciure milanesi, lo splendore di Miriam Leone, tanto bella quanto acerba. Insomma, non siamo vicini alle fiction Mediaset ma nemmeno alla grandezza della produzione stilistica di Gomorra.

Mi auguro di cambiare idea nel corso degli episodi.