Mario è nato una sera di novembre, quando ancora non si indossava il cappotto.
In ospedale la temperatura era caraibica, mentre all’esterno l’aria frizzante tradiva un autunno che nelle prime ore della giornata era latitante. Il mio rapporto con gli ospedali è sereno quanto quello di un vegano dentro un allevamento intensivo di polli, ma la nascita è un evento gioioso, devi mostrare nervi saldi e contentezza.
Non sono di quelle zie pancine che scrivono su Facebook frasi del tipo «ti amiamo già», allegando cuori glitterati. Col carattere che mi ritrovo, ombroso e analitico, ero curiosa di conoscere questa persona nuova che avrebbe aggiunto un posto a tavola in famiglia e, nel contempo, avevo a cuore la salute di mia sorella: speravo che tutto filasse dritto, senza cedere alla negatività di certe immagini splatter sul parto.
Mario aveva già un peso importante, quindi la pancia non sarebbe più stata casa sua ancora per molto. Dopo poco più di 24 ore di incertezza dall’arrivo, mi sono ritrovata tra le braccia questo neonato paonazzo di quasi 4kg, col naso schiacciato e l’espressione arrabbiata. Totalmente inesperta nel prenderlo, nel tenerlo.
No, non ho mai scritto sui social 4kg di puro amore.
Da quel giorno è stato un crescendo di amore e tenerezza, che non davo per scontati. La mia schiena non è più stabile come prima, la galleria del telefono sta per esplodere nel tentativo di fissare nel tempo ogni piccola nuova smorfia.
Ho scoperto una capacità di intrattenimento che non sapevo di possedere.
Ho imparato tante nozioni generiche sul numero di poppate giornaliere, il pianto del neonato, le coliche, la temperatura dell’acqua per il bagnetto.
E tante altre che riguardano Mario e il suo temperamento: è sensibile ai tessuti e ai piccoli cambiamenti, non mangia se non è pulito, è attento ai dettagli, gli piace osservare.
Torno bambina insieme a lui, mentre gli regalo tutta la dolcezza di cui sono capace.
Sento che abbiamo una complicità nostra, anche se quasi certamente non ha capito chi sono, ma rivedo nel suo viso tante persone a me care e credo che lui possa rivedere in me un po’ della sua mamma.
Ci guardiamo con gli occhi grandi che abbiamo entrambi, stupiti e meravigliati: lui delle cose che esistono nel mondo, io che possa esistere un esserino così piccolo e così curioso.
Sono qui a osservare ogni sua impercettibile scoperta, mentre mi godo lo spettacolo di questa vita che adesso ha cancellato un po’ di quelle ombre che mi accompagnano.